Diari Pieve- In quaranta giorni 

PIEVE SANTO STEFANO – In occasione di questo Giorno del Ricordo, desideriamo condividere un frammento tra i racconti che custodiamo con scrupolo. Si tratta di una testimonianza di Elsa Crevatin, nata a Salonicco nel 1923.

Elsa fu espulsa dalla Grecia nel 1941 e trovò rifugio in Istria fino al 1944.Le pagine dei diari narrano di famiglie divise e terre abbandonate, mentre le storie si intrecciano tra sensazioni e ricordi. Attraverso queste parole, cerchiamo di preservare e condividere testimonianze che ci riconducono al passato, con l’obiettivo di tramandare alle nuove generazioni ciò che è accaduto, rinnovando il profondo desiderio di condivisione. Cominciarono così gli orribili 40 giorni di Trieste. Cessati gli spari e gli scoppi degli ultimi giorni d’aprile, quando la città si sollevò contro i tedeschi, subentrò quasi un silenzio di tomba… i triestini erano ammutoliti e sgomenti. Non gli angloamericani attesi con speranza, non i russi particolarmente temuti, bensì i titini, i più odiati per quel che già avevano fatto in Istria, ebbero il privilegio di entrare per primi a Trieste, grazie alla compiacente indifferenza del generale Freyberg, fermatosi solo pochi chilometri prima della città. […]I giorni passavano tristi e le notti erano un incubo… Il caldo consentiva già di dormire con le finestre aperte, poiché eravamo oltre la metà di maggio. Fui svegliata verso le due di notte dal rumore di un motore che si fermava e, subito dopo, dal sinistro scalpiccio di scarpe chiodate e da parole straniere, quasi urlate. Balzai dal letto e al buio cominciai a spiare dalle fessure delle persiane. Proprio nella casa di fronte un gruppo di soldati slavi stava sfondando il portone che offrì poca resistenza. In un attimo si illuminò tutto un appartamento al primo piano. Trambusto, urla, voci concitate, sbatacchiare di porte e di finestre, di sedie cadute e di persiane spalancate. Rannicchiata nel mio buio, col cuore che mi batteva sempre più forte, mi pareva di assistere ad un film di violenza… ma film non era. Poco dopo, tra quei soldatacci c’era un uomo in pigiama che veniva portato via mentre sul letto una donna urlava tutta la sua disperazione. Anche a distanza di decenni, quella scena l’ho ancora negli occhi e ancora mi sento male a pensare che in quaranta giorni ci furono migliaia di tali scene, preludio di orribili morti di cui solo da poco molti italiani sono venuti a conoscenza. […] Con l’allontanamento degli slavi dai posti di comando, la città di Trieste riprese a respirare, a vivere: si riaprirono gli stabilimenti balneari, cessò il coprifuoco, comparvero nei cinema i film americani a lieto fine, ma si scoprì pure, tramite un documentario, l’incredibile realtà dei lager nazisti. Io e i miei amici triestini ci ponemmo di conseguenza vari interrogativi: è possibile fare una graduatoria delle crudeltà umane? E l’uomo da vittima può in certe circostanze diventare a sua volta carnefice e viceversa? No, il nostro animo non trovava risposta. E fu ancora violentemente sconvolto quando gli americani lanciarono sul Giappone le due bombe atomiche: per avvicinare il giorno della pace, si disse, ma a quale prezzo? Ma, poi, esiste un prezzo per la sofferenza umana e non solo? Foibe, lager, gulag, bombe atomiche erano le pesanti realtà che la guerra ci aveva fatto conoscere. 

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