
Ci possono essere diversi argomenti per non voler legalizzare della cannabis. Nell’attuale contesto parlamentare si sta procedendo per consentire la autocoltivazione di alcune piantine ai malati che usano la terapeutica che è legale dal 2016
In sostanza, vista la carenza di prodotti forniti dallo Stato, per evitare che i consumatori si vedano costretti a delinquere fornendosi dal mercato nero, la commissione giustizia della Camera ha depenalizzato la coltivazione personale. L’iter è, pur a buon punto, solo all’inizio.
E’ bastato questo per risvegliare i vari proibizionisti che, in Parlamento e mediaticamente, esprimono contrarietà senza mai entrare nello specifico (un diritto già sancito da una legge e che abbisogna di aggiustamenti per essere rispettata). Dominanti gli argomenti generici, espressi da ogni proibizionista in base al proprio bagaglio culturale: SEMPRE basato sull’assioma che la droga faccia male, senza considerazione dello specifico in discussione e di quanto, in Italia e nel mondo, è la qualità e quantità della scienza in merito. Ne citiamo solo uno, ma significativo, di una deputata di Fdi che, in un intervento parlamentare per screditare i proponenti lo ius scholae, dice che sono gli stessi che distribuiscono la droga gratis per strada (1). Sullo stesso livello interventi di leader e dirigenti di Forza Italia e della Lega. In questo contesto non ci mettiamo a rispondere a queste osservazioni dei proibizionisti (2). Ci preme rilevare come in questo modo, per chi nutra un dubbio, è impossibile chiarirselo facendo riferimento ai luoghi massimi di formazione delle leggi e del consenso, Parlamento e informazione di massa. Le urla – termine più consono rispetto al confronto che non c’è – sono tutte rivolte per galvanizzare i partigiani del proibizionismo e per il consenso dalla presunta e cosiddetta pancia degli auditori occasionali. Logica vorrebbe che lo Stato, a maggior ragione quando si tratta come nel nostro caso di norme per razionalizzare principi e leggi già esistenti, svolgesse una funzione informatrice/educatrice. Ma così non è, anche perché l’ente di Stato per informazione e spettacolo (Rai) non ha una missione da svolgere per una crescita culturale del Paese, ma solo quella di accontentare i partiti parlamentari che si spartiscono la gestione
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