
Nella notte tra l’11 e il 12 agosto scorso, sulle montagne della Provincia di Bolzano, un lupo maschio adulto è caduto sotto i colpi delle guardie forestali.
https://news.provincia.bz.it/it/news/
lupo-prelevato-dall-alta-val-venosta Con lui si è dissolto l’incantesimo che, per decenni, aveva avvolto la sua specie: quello della protezione assoluta, della venerazione mistica, dell’idea che il lupo fosse un simbolo intoccabile più che una creatura reale che crea conflitti a chi non vive nelle ZTL.
Dopo due anni e mezzo di battaglie, l’esito è giunto. E oggi possiamo affermarlo senza esitazioni: la scienza e i fatti hanno confermato ciò che avevamo sempre saputo e sostenuto. Il lupo non è né eroe né demone. È un animale esattamente come tutti gli altri, con virtù e difetti che appartengono alla sua natura. Tutto ciò che lo ha trasformato in mito o in un idolo, nasce dall’immaginazione di uomini che hanno smarrito il contatto con la Natura , che è il nostro substrato vitale ma che ha anche la funzione pedagogica di insegnarci a capire che veniamo da lì, che ne facciamo parte e che dobbiamo tutelare e gestire il nostro habitat. Fino agli anni Settanta, il lupo era ritenuto un animale nocivo. Poi, con l’abbandono delle campagne e il progressivo distacco dell’uomo dal mondo rurale, ha iniziato a prendere forma un racconto nuovo, intriso di fanatismo, di romanticismo e idealizzazione, ma soprattutto di tanti soldi…
In un Paese sempre più urbanocentrico, pochi decenni sono bastati per dimenticare una verità elementare: il lupo non è un cane e da sempre è in conflitto con l’uomo. Il cane non è semplicemente un lupo addomesticato. La sua origine è il risultato di un processo millenario di domesticazione e selezione artificiale, iniziato probabilmente tra 20.000 e 40.000 anni fa, in cui l’uomo ha operato una pressione selettiva costante per territorio, la custodia delle greggi, il traino o, più recentemente, la compagnia. Questa lunga coevoluzione ha determinato modificazioni non soltanto comportamentali, ma anche morfologiche e genetiche. Tramite selezione mirata, sono state progressivamente eliminate molte caratteristiche ritenute indesiderabili nel progenitore selvatico, quali eccessiva diffidenza verso l’uomo, aggressività marcata e tendenza alla dispersione. Parallelamente, si è favorita la comparsa di tratti più utili alla convivenza: maggiore socievolezza, predisposizione alla cooperazione interspecifica e capacità di leggere i segnali comunicativi umani. Numerosi studi confermano che il cane moderno presenta evidenti tratti di neotenia, ossia la conservazione in età adulta di caratteristiche tipiche delle fasi giovanili del lupo. La neotenia, selezionata dall’uomo nel corso dei millenni, ha reso il cane profondamente diverso dal suo antenato selvatico, al punto da costituire oggi una sottospecie distinta sotto il profilo morfologico, comportamentale e genetico.
La Natura non è fatta di favole o di fantasie, affinché possa esserci la cosiddetta “convivenza”, il lupo deve ricominciare ad avere paura dell’essere umano, così come avveniva in passato, solo così potrà vivere la sua vita con la dignità che merita, e sotto la tutela dell’uomo stesso. Ma la favola più grande è credere che la soluzione al problema oggi sia a portata di mano. Quindici anni di non-gestione hanno prodotto danni enormi e un esubero di lupi nei nostri territori tale da rendere necessaria una vera e propria decimazione: una scelta dura, ma inevitabile. Eppure né il Governo né le Regioni sembrano intenzionati ad assumerla. Siamo pronti a volgere lo sguardo altrove di fronte ad invasioni, massacri e genocidi, figuriamoci se qualche politico si mette alla prova per una questione che danneggia tutti, ma in modo particolarmente grave solo una parte minoritaria della popolazione. La strada più razionale è anche ostacolata da un nodo strutturale: le Regioni e le Province ordinarie non dispongono di corpi di guardie forestali proprie, e i Carabinieri Forestali(parte attiva nei programmi di diffusione del lupo) si trovano in un evidente conflitto d’interesse. Ne risulta uno stallo che solo le Province autonome di Bolzano, per il lupo, e di Trento, per l’orso, hanno saputo e potuto rompere con coraggio, intervenendo direttamente. L’abbattimento di questo esemplare non risolve neppure lontanamente il problema, ma rappresenta un segnale: dopo anni in cui il mondo rurale ha invocato il contenimento e gli abbattimenti, oggi l’ISPRA ha finalmente espresso un parere tecnico-scientifico inequivocabile, stabilendo che, in presenza di conflitti, non esistono alternative alla rimozione degli animali responsabili. È così in tutto il mondo: si regolano le popolazioni e si eliminano i soggetti problematici. Ma nelle Regioni italiane prive di statuto speciale, un intervento diretto resta praticamente impossibile. Quello che la politica sta facendo, in questo scenario, è lasciar filtrare l’idea che la morsa sulla protezione del lupo si sia allentata, confidando in una difesa “fai da te”: il classico, vergognoso e indecente espediente all’italiana. Lasceranno passare del tempo e quando arriverà il momento di contarli, ce ne ritroveremo meno di quanto si pensava, così saranno tutti contenti. Questa è la verità, nuda e cruda, vogliono che i cittadini si trasformino in delinquenti e risolvano i danni causati da altri. Un fallimento sopra gli altri fallimenti. L’incantesimo si è spezzato, ma non c’è ragione di gioire.
Non c’è nulla da festeggiare, perché nulla è stato veramente ottenuto. Siamo soltanto all’inizio di un percorso verso una decimazione inevitabile, una scelta estrema che avrebbe potuto essere evitata con una gestione attenta e intelligente delle popolazioni e dei conflitti. Senza ascoltare gli animalisti ed i loro sodali con la patente da “esperti” ed i conti correnti pieni di denaro pubblico. Il lupo, oggi, cresce del 10-15% l’anno, al netto di morti naturali, incidenti stradali e bracconaggio. Significa che per ogni anno di ritardo nell’intervenire, ed in questa situazione emergenziale, occorrerà rimuovere annualmente almeno cinquecento esemplari. Una prospettiva che fa rabbrividire, assolutamente inattuabile con la classe politica pavida e inetta che così bene rappresenta il popolo italico. La differenza tra un politicante e uno statista è tutta qui: il primo teme di perdere i voti degli animalisti, il secondo sa prendere decisioni difficili. Per questo non abbiamo stappato bottiglie. E non lo faremo.
Qualcun altro, però, lo ha fatto eccome. Gli “esperti”, i professori emeriti, i portaborse e i fedeli lacchè che, per anni, hanno contribuito a creare questo disastro, ora avranno una nuova fonte di guadagno, mungendo l’omeopatica parodia della “gestione” del lupo. Lo giustificheranno con il mantra del “meglio noi, che siamo amici dei lupi, che gli altri, brutti e cattivi”. Un male necessario che, guarda caso, serve anche a pagare le rate delle ville nella campagna toscana. Sul fronte “opposto”, le associazioni animaliste continueranno a mungere le proprie “mucche”, mobilitando campagne, slogan e raccolte fondi per contrastare ogni abbattimento. È un gioco delle parti, dove ogni attore recita il proprio copione e incassa i dividendi, mentre i danni si accumulano. Noi, che conosciamo il lupo dal lato del morso, noi che lo subiamo, non abbiamo nulla di cui rallegrarci. In frigo non teniamo champagne: perché nessuno ce l’ha con il lupo, e nemmeno i cacciatori desiderano abbatterlo. Quale persona sana di mente potrebbe avere il desiderio di uccidere un lupo?
Comunque vada, questa non è, e non sarà mai, una bella storia.
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