IL TEVERE SE LO POTEVA BERE TUTTO

A Montecoronaro, dieci casucce, una fonte, una chiesa e un’osteria, il necessario e il superfluo. Domando: “Quanto cammino c’è ancora per arrivare alle vene del Tevere?”. “Una mezz’ora di qui n’avanza”.Seduto sulla soglia della sua porta, il vecchio alza lo sguardo al getto di sentiero bianco e ciottoloso che dietro il paese rode la costa nuda del Fumaiolo.

“Se va dritto non può sbagliare. Non può sbagliare, una mezz’ora”. So bene queste frasi cosa vogliono dire nella bocca di un alpigiano: mezz’ora è un lasso di tempo antico che esclude vagamente l’eternità; è come dire “Dio l’accompagni”. Cerco a buon conto un asino ed un ragazzo esperto che guidi l’asino e me. Pazienti e tutti e tre in fila, l’asino carico della sola bisaccia, si prende a salire.Quando in un ripido pendio, al confine tra un prato arso e una rada faggeta, il ragazzo ferma l’asino, sfrasca con le mani tra i rami di un ginepro e dice a me che son di dietro: “Ecco il Tevere”. E io vedo scaturire una polla tranquilla e chiara dentro una cunetta che poi si slabbra e perde il suo fil d’acqua giù giù per la china; il mio pensiero a quel punto è stato che se l’asino avanzava ancora un passo, allungava il collo e il Tevere se lo poteva bere tutto.

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