
PIEVE SANTO STEFANO I vincitori del Premio Pieve Saverio Tutino 2025 sono ex equo gli epistolari di Vittorio Binotto-Bernardina Casarin, ed Eduardo Renato Caianiello-Carla Persico.La giuria nazionale è giunta alla decisione di assegnare il premio in ex equo a fronte della straordinaria qualità e ricchezza di tutti gli otto testi finalisti
Entrambe le raccolte epistolari appaiono notevoli per la durata e la densità dello scambio.Vittorio Binotto, a un mese dal matrimonio con Bernardina Casarin, viene chiamato a combattere nella Seconda guerra mondiale nella Divisione Julia. Lui viene spedito in Albania mentre lei resta al paese, in Veneto, a fare da balia a un bambino a cui si affeziona come se fosse il suo. Nonostante la povertà dei mezzi linguistici a disposizione, i due riescono a dirsi a distanza l’intensità dei loro sentimenti d’amore con un’estrema vivezza. L’effetto che tutto questo comunica è struggente, e diventa straziante seguendo il tragico percorso del giovane, stritolato dalla catena delle guerre fasciste fino all’epilogo del fronte russo, in cui la sua voce, già flebile, si spegne. Colpisce anche l’attenzione di Vittorio nei confronti di ogni aspetto della vita della moglie, dai suoi sentimenti ai bisogni materiali, fino al parlare esplicitamente del desiderio sessuale di entrambi.L’epistolario di Caianiello-Persico, per contro, ha la lingua colta ed elegante di due laureati napoletani. Lui, giovane fisico, nel 1948 vince una borsa di studio di tre mesi al Mit di Boston. Parte da solo per gli Stati Uniti dove incontra il professor Robert Marshak, già collaboratore di Oppenheimer, che lo invita a rimanere per conseguire un PhD in fisica nucleare all’Università di Rochester, New York. Lei, invece, resta a Napoli con la piccola figlia Dora a preparare l’appartamento in cui vorrebbe vivere. Nelle schermaglie in cui ognuno dei due cerca di convincere l’altro a raggiungerlo, sostenute da una profonda passione amorosa e dalla consapevolezza di lui di avere un grande destino da intellettuale nella fisica teorica, leggiamo la vivacità e l’apertura della vita accademica e culturale americana confrontata con la staticità e la chiusura dell’ambiente scientifico italiano.La giuria ha deciso, inoltre, di assegnare una menzione speciale ai tre manoscritti di Arnaldo Manni, Debora Pietrarelli e Tito Zampa. Gli scritti di Manni e Zampa sono entrambi diari della Seconda guerra mondiale combattuta nel Dodecaneso. Il primo ha una consapevolezza molto forte della situazione e permette di leggere gli avvenimenti post 8 settembre da una prospettiva periferica ma illuminante. Il secondo racconta dell’amore per la giovane Katina e di una rocambolesca fuga dall’isola di Kos quasi come fosse un romanzo d’avventura. La memoria di Debora Pietrarelli, nata nel 1973, ripercorre i lutti per i due genitori che hanno un impatto tanto traumatico da portarla verso la psicosi e la vita per strada, fino al recupero in una comunità e al ritorno di uno slancio vitale. I giorni del Premio sono sempre giorni fuori dall’ordinario. Quattro giornate in cui il tempo sembra dilatarsi e comprimersi insieme, perché accade tutto in una volta: volti che arrivano, voci che si intrecciano, storie che si consegnano, ospiti da accogliere, ringraziamenti da rivolgere, volontari che corrono da un lato all’altro con la stessa passione di chi porta a casa un bene prezioso. Ogni anno ci sembra di vivere un turbine che ci avvolge, tra comunicazione, organizzazione, inviti, incontri da preparare, e poi il Premio stesso con il suo carico immenso di emozioni.Eppure, quando cala la sera della domenica e l’ultima sedia gialla viene rimessa in fila, la stanchezza che ci attraversa non assomiglia a un vuoto, ma a un torpore carico di vita. Non è un sogno da cui risvegliarsi, ma un’eredità da custodire: perché ciò che resta dopo quelle giornate è reale, intenso, e continua a vibrare.Per questo, ogni anno ci concediamo una breve pausa. Un tempo necessario, intimo e silenzioso, per lasciare sedimentare le emozioni e far nostre le storie che abbiamo incontrato. Solo dopo questo piccolo respiro siamo pronti a restituire un pensiero a chi ci segue: lo facciamo da anni attraverso la stessa immagine, una fotografia delle sedie gialle riordinate, simbolo di tutto ciò che è stato e che continuerà a vivere. Quest’edizione del Premio è stata segnata dalla presenza di voci indimenticabili, come ogni anno dopotutto. Antonio Scurati, al quale è stato consegnato il Premio Città del diario, ci ha ricordato con la sua opera quanto la memoria sia linfa per la letteratura e per la vita civile. Il Premio Tutino Giornalista è andato a Rita Baroud, giovane palestinese che ha portato la sua testimonianza di verità, raccontando i giorni della fuga e della sopravvivenza. Due diari epistolari, così diversi eppure così simili nella loro forza, hanno vinto il Premio Pieve.Accanto a loro, tante altre esperienze hanno riempito questi giorni: le presentazioni di libri, le performance teatrali tratte dai diari, gli incontri DiMMi dedicati alle storie migranti, gli spettacoli, le mostre, gli incontri. Ognuno ha lasciato un segno, ognuno ha trovato posto nella casa della memoria che Pieve Santo Stefano custodisce da sempre.È stata un’edizione ricca, densa, tanto che a volte ci è sembrato difficile contenere tutte le emozioni che si affollavano. Ma sappiamo bene che qui, nella Città del diario, c’è sempre spazio: per le parole, per le ferite, per i ricordi, per le speranze. Grazie a chi ci ha seguito da vicino e da lontano. Grazie alle istituzioni. Grazie agli ospiti, ai protagonisti, al pubblico, a ogni volontario e collaboratore che ha reso possibile ancora una volta questa festa della memoria.E un grazie speciale alle nostre sedie gialle, simbolo silenzioso di ciò che abbiamo vissuto insieme. Quest’anno erano tante le persone presenti, talmente forte il desiderio di ascoltare le storie, che abbiamo dovuto aggiungerne ancora, fuori dalla sala. Ci salutiamo così, con le sedie in fila, pronte per la prossima edizione. Con la consapevolezza che le emozioni non si esauriscono: restano qui, si trasformano in memoria e in futuro.
la quiete che sa di storie
I vincitori del Premio Pieve Saverio Tutino 2025 sono ex equo gli epistolari di Vittorio Binotto-Bernardina Casarin, ed Eduardo Renato Caianiello-Carla Persico.La giuria nazionale è giunta alla decisione di assegnare il premio in ex equo a fronte della straordinaria qualità e ricchezza di tutti gli otto testi finalisti. Entrambe le raccolte epistolari appaiono notevoli per la durata e la densità dello scambio.Vittorio Binotto, a un mese dal matrimonio con Bernardina Casarin, viene chiamato a combattere nella Seconda guerra mondiale nella Divisione Julia. Lui viene spedito in Albania mentre lei resta al paese, in Veneto, a fare da balia a un bambino a cui si affeziona come se fosse il suo. Nonostante la povertà dei mezzi linguistici a disposizione, i due riescono a dirsi a distanza l’intensità dei loro sentimenti d’amore con un’estrema vivezza. L’effetto che tutto questo comunica è struggente, e diventa straziante seguendo il tragico percorso del giovane, stritolato dalla catena delle guerre fasciste fino all’epilogo del fronte russo, in cui la sua voce, già flebile, si spegne. Colpisce anche l’attenzione di Vittorio nei confronti di ogni aspetto della vita della moglie, dai suoi sentimenti ai bisogni materiali, fino al parlare esplicitamente del desiderio sessuale di entrambi.L’epistolario di Caianiello-Persico, per contro, ha la lingua colta ed elegante di due laureati napoletani. Lui, giovane fisico, nel 1948 vince una borsa di studio di tre mesi al Mit di Boston. Parte da solo per gli Stati Uniti dove incontra il professor Robert Marshak, già collaboratore di Oppenheimer, che lo invita a rimanere per conseguire un PhD in fisica nucleare all’Università di Rochester, New York. Lei, invece, resta a Napoli con la piccola figlia Dora a preparare l’appartamento in cui vorrebbe vivere. Nelle schermaglie in cui ognuno dei due cerca di convincere l’altro a raggiungerlo, sostenute da una profonda passione amorosa e dalla consapevolezza di lui di avere un grande destino da intellettuale nella fisica teorica, leggiamo la vivacità e l’apertura della vita accademica e culturale americana confrontata con la staticità e la chiusura dell’ambiente scientifico italiano.La giuria ha deciso, inoltre, di assegnare una menzione speciale ai tre manoscritti di Arnaldo Manni, Debora Pietrarelli e Tito Zampa. Gli scritti di Manni e Zampa sono entrambi diari della Seconda guerra mondiale combattuta nel Dodecaneso. Il primo ha una consapevolezza molto forte della situazione e permette di leggere gli avvenimenti post 8 settembre da una prospettiva periferica ma illuminante. Il secondo racconta dell’amore per la giovane Katina e di una rocambolesca fuga dall’isola di Kos quasi come fosse un romanzo d’avventura. La memoria di Debora Pietrarelli, nata nel 1973, ripercorre i lutti per i due genitori che hanno un impatto tanto traumatico da portarla verso la psicosi e la vita per strada, fino al recupero in una comunità e al ritorno di uno slancio vitale. I giorni del Premio sono sempre giorni fuori dall’ordinario. Quattro giornate in cui il tempo sembra dilatarsi e comprimersi insieme, perché accade tutto in una volta: volti che arrivano, voci che si intrecciano, storie che si consegnano, ospiti da accogliere, ringraziamenti da rivolgere, volontari che corrono da un lato all’altro con la stessa passione di chi porta a casa un bene prezioso. Ogni anno ci sembra di vivere un turbine che ci avvolge, tra comunicazione, organizzazione, inviti, incontri da preparare, e poi il Premio stesso con il suo carico immenso di emozioni.Eppure, quando cala la sera della domenica e l’ultima sedia gialla viene rimessa in fila, la stanchezza che ci attraversa non assomiglia a un vuoto, ma a un torpore carico di vita. Non è un sogno da cui risvegliarsi, ma un’eredità da custodire: perché ciò che resta dopo quelle giornate è reale, intenso, e continua a vibrare.Per questo, ogni anno ci concediamo una breve pausa. Un tempo necessario, intimo e silenzioso, per lasciare sedimentare le emozioni e far nostre le storie che abbiamo incontrato. Solo dopo questo piccolo respiro siamo pronti a restituire un pensiero a chi ci segue: lo facciamo da anni attraverso la stessa immagine, una fotografia delle sedie gialle riordinate, simbolo di tutto ciò che è stato e che continuerà a vivere. Quest’edizione del Premio è stata segnata dalla presenza di voci indimenticabili, come ogni anno dopotutto. Antonio Scurati, al quale è stato consegnato il Premio Città del diario, ci ha ricordato con la sua opera quanto la memoria sia linfa per la letteratura e per la vita civile. Il Premio Tutino Giornalista è andato a Rita Baroud, giovane palestinese che ha portato la sua testimonianza di verità, raccontando i giorni della fuga e della sopravvivenza. Due diari epistolari, così diversi eppure così simili nella loro forza, hanno vinto il Premio Pieve.Accanto a loro, tante altre esperienze hanno riempito questi giorni: le presentazioni di libri, le performance teatrali tratte dai diari, gli incontri DiMMi dedicati alle storie migranti, gli spettacoli, le mostre, gli incontri. Ognuno ha lasciato un segno, ognuno ha trovato posto nella casa della memoria che Pieve Santo Stefano custodisce da sempre.È stata un’edizione ricca, densa, tanto che a volte ci è sembrato difficile contenere tutte le emozioni che si affollavano. Ma sappiamo bene che qui, nella Città del diario, c’è sempre spazio: per le parole, per le ferite, per i ricordi, per le speranze. Grazie a chi ci ha seguito da vicino e da lontano. Grazie alle istituzioni. Grazie agli ospiti, ai protagonisti, al pubblico, a ogni volontario e collaboratore che ha reso possibile ancora una volta questa festa della memoria.E un grazie speciale alle nostre sedie gialle, simbolo silenzioso di ciò che abbiamo vissuto insieme. Quest’anno erano tante le persone presenti, talmente forte il desiderio di ascoltare le storie, che abbiamo dovuto aggiungerne ancora, fuori dalla sala. Ci salutiamo così, con le sedie in fila, pronte per la prossima edizione. Con la consapevolezza che le emozioni non si esauriscono: restano qui, si trasformano in memoria e in futuro.
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