Oggi moriva Peppino Impastato, che sfidò Cosa Nostra

Fu ucciso nel 1978 dagli uomini di Badalamenti. Dalla sua Radio Aut dimostrò che la mafia non è onnipotente né invulnerabile. Un coraggio che gli costò la vita. Il 9 maggio del 1978, a Cinisi, un piccolo paesino della Sicilia affacciato sul mare a trenta chilometri da Palermo, muore dilaniato da una violenta esplosione  Giuseppe Impastato

Nato il 5 gennaio del 1948 da una famiglia mafiosa, durante gli anni del liceo Giuseppe – per tutti Peppino – aderisce al Psiup e fonda il giornalino L’idea socialista  Il giornale viene sequestrato dopo pochi numeri e Peppino, lasciato il Psiup, inizia a collaborare con i gruppi comunisti locali, occupandosi in particolare delle battaglie dei disoccupati, degli edili, dei contadini che si vedono privati dei loro terreni per favorire la realizzazione della terza pista dell’aeroporto di Palermo proprio a Cinisi. Negli Appunti per un’autobiografia, testo di 10 pagine numerate in cui Peppino ricostruisce le tappe fondamentali della sua vita e della sua militanza, racconta lui stesso:

“Arrivai alla politica nel lontano novembre del ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare divenuta ormai insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto con connotati tipici di una società tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, fin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte ed il suo codice comportamentale. È riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva ed a compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività”.

Dopo aver dato vita al circolo “Musica e cultura”, con il boom delle radio libere Peppino decide di fondarne una propria a Cinisi: Radio Aut. Nel programma Onda Pazza prende in giro i capimafia e i politici locali: il suo bersaglio preferito è don Tano Badalamenti (soprannominato Tano Seduto), erede del boss Cesare Manzella e amico di suo padre Luigi. È una firma sulla propria condanna a morte. Peppino lo sa, ma non indietreggia.

Nel 1978 decide di candidarsi alle elezioni comunali del suo paese nella lista di Democrazia proletaria. Assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio a soli 30 anni, risulterà comunque eletto il 14 maggio con 260 voti. Anche la madre, Felicia Bartolotta, si reca a votare, violando il lutto che la vuole reclusa in casa. Nel pomeriggio dell’11 maggio, a Cinisi, il comizio di chiusura della campagna elettorale che doveva fare Peppino assieme a un dirigente nazionale di Democrazia proletaria, su invito dei compagni viene fatto da Umberto Santino, fondatore del Centro siciliano di documentazione di Palermo – nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato a Impastato – che indica nei mafiosi di Cinisi, e in particolare in Badalamenti, i responsabili del delitto. Se stampa, forze dell’ordine e magistratura considerano la morte di Peppino conseguenza di un atto terroristico suicida (recita il fonogramma del procuratore capo Gaetano Martorana, poche ore dopo la scoperta dei resti: “Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda. (…) Verso le ore 0.30 – 1 del 9 maggio 1978, persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale IMPASTATO Giuseppe (…) si recava a bordo della propria autovettura FIAT 850 all’altezza del km. 30 + 180 della strada ferrata Trapani – Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore”) comincia a delinearsi un’altra storia e la matrice mafiosa del delitto viene individuata anche grazie all’attività del fratello di Peppino, Giovanni, e della madre (prima donna in Italia a costituirsi parte civile in un processo di mafia), che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa e rendono possibile, in virtù della documentazione raccolta e delle denunce presentate, la riapertura dell’inchiesta giudiziaria. Le indagini si concluderanno solo nel 2002, con la condanna all’ergastolo di Tano Badalamenti. “È il primo compleanno che vivo con la pace nel cuore”, diceva il 24 maggio di quell’anno festeggiando i suoi ottantasei anni mamma Felicia, una piccola grande donna, che – come suo figlio – seppe gridare nella piazza e lottare contro tutti: mafiosi, fascisti, uomini di poco onore. “Padri senza figli, lupi senza pietà”. Felicia morì, finalmente serena per aver ottenuto giustizia, il 7 dicembre del 2004.

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