19 Luglio 1944 …. LA LIBERAZIONE DI LIVORNO

Un insolito silenzio ci ha svegliati all’alba. Mai erano state tanto tranquille le ultime cinquecento notti di guerra, con i rumori degli allarmi aerei, i cannoni delle contraeree, l’urlo lacerante delle bombe e le esplosioni…A Fiorentina, uno tra i pochi quartieri di Livorno rimasto fuori dalla “zona nera“ vietata ai civili, siamo non più di una cinquantina di famiglie che come noi, per i più vari motivi, non hanno lasciato la città.

In ogni palazzo, anche i più grandi, non abitano che pochissime persone e in questa calda mattina siamo tutti affacciati alle finestre.La sera prima avevamo sentito colpi di armi pesanti provenire dalle colline a sud di Livorno e nella notte, saranno state le undici, una sventagliata di mitra verso la via Aurelia poi il silenzio totale.Siamo attoniti, quasi sperduti e intimoriti per questo improvviso silenzio, in un certo modo qualcosa ci manca. Siamo privi di quei frastuoni di guerra che hanno accompagnato e condizionato la nostra vita per anni. Siamo confusi: la sirena ci ordinava di andare nel rifugio oppure di uscirne, cercavamo di capire dove cadessero le bombe dai rumori vicini o lontani, che cosa avessero colpito dal fumo che si alzava. Ma questa mattina il silenzio è davvero opprimente.Poi una voce ed un’altra ed un’altra, tutte a chiedersi che cosa accade, come a testimoniare che la normalità era la guerra e non questa straordinaria tranquillità. C’è, tuttavia, nell’aria, qualcosa di nuovo, qualcosa che attendi da tanto tempo, che ora non osi sperare più temendo di restare deluso.Dalla via Aurelia, per quella piccola strada che si inoltra di sbieco nella piazza Barriera Garibaldi, arrivano alcune persone che corrono trafelate urlando:- Americani, americani! Sono arrivati gli americani! –Scendiamo le scale a capofitto, corriamo anche noi verso l’Aurelia dove incrocia il viale della Stazione. Da sud con gran frastuono di cingoli vedo i carri armati. Sono grandissimi, sono tanti, tanti che non se ne vede la fine. Da ognuno si affacciano soldati che salutano, altri soldati avanzano tra l’uno e l’altro carro in doppia fila, imbracciando il fucile. Sono stanchi ma sorridono, l’elmetto un po’ indietro a scoprire la fronte per cercare refrigerio al caldo.Per un bambino di dieci anni come me sono grandi e sono belli!Ci sorridono, quegli occhi che hanno visto tanti lutti e ci sorridono sono diversi da quelli cattivi dei fascisti repubblichini e da quelli senz’anima dei tedeschi.Ai lati della strada fra tutti i civili, ci sono anch’io ad applaudire festoso. Tutti portano dei regali, soprattutto fiaschi di vino e noi la scatoletta di sardine che da due anni tenevamo come ultima riserva.Ma la gioia, la gioia che proviamo in questo momento! Come se per incanto fossero già finiti guerra e disagi, per un istante abbiamo dimenticato ogni dolore, ogni privazione ed ogni lutto.Non sarà così, almeno non ancora, ma intanto sono felice. Ho trovato un quadratino di pane bianchissimo, era in terra, un po’ calpestato. L’ho raccolto, ho scosso la polvere e l’ ho portato a casa. Lo abbiamo diviso in quattro minuscole parti, per mio fratello, i miei genitori e per me.Era buono come una promessa di pace. .Carlo Sposini – 19 Luglio 1969

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