Il Mostro di Firenze. 21 agosto 1968, via Castelletti a Signa

Il primo duplice omicidio: un delitto che segna l’inizio Tutto ebbe inizio quando la notte tra il 21 ed il 22 agosto 1968, un bambino di 6 anni, Natalino Mele, bussò alla porta di un fattore di Signa, 16 chilometri da Firenze, Francesco De Felice. Natalino percorse più di due chilometri a piedi, nel buio della notte, per chiedere aiuto. La madre e lo “zio” Antonio erano stati uccisi.

Signa. In un’auto appartata ci sono gli amanti Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Sul divanetto posteriore dorme Natalino, il figlioletto della donna. La coppia sta per avere un rapporto sessuale quando qualcuno fa fuoco. Quattro colpi a lui, quattro a lei. Tutti a segno Quella sera, il destino di due persone si incrociò tragicamente nelle campagne toscane, dando il via a una serie di eventi che avrebbero sconvolto per sempre l’Italia.
In una strada isolata vicino al cimitero di Signa, Antonio Lo Bianco e Barbara Locci si trovavano appartati in auto, dopo aver trascorso una serata al cinema. Sul sedile posteriore della Giulietta dormiva Natalino, il figlio della donna.
Lui, 29enne siciliano, era sposato con un’altra donna. Lei, 32enne sarda, era sposata con un altro uomo, Stefano Mele.
La quiete della notte fu rotta da otto colpi di pistola, sparati con una Beretta calibro 22.
Una scia di bossoli Winchester, con incisa la lettera “H”, venne rinvenuta sulla scena del crimine. Ma l’arma sparì nell’ombra e a distanza di 57 anni, non fu mai ritrovata.
Il principale sospettato, all’inizio, fu Stefano Mele, il marito di Barbara Locci.
Il marito della donna cambiò versione molte volte, trovandosi coinvolto in un vortice di dichiarazioni contrastanti e rivelando dettagli non resi noti dalla stampa.
Inizialmente negò ogni responsabilità, poi accusò prima Salvatore Vinci, poi Francesco Vinci, entrambi amanti di Barbara ed anche loro sardi.
Le indagini sui fratelli Vinci, la ben nota pista sarda, non diedero alcun riscontro e vennero scagionati da ogni accusa.
Alla fine, Mele cambiò versione e confessò di essere lui l’autore del delitto.
Anche il piccolo Natalino, figlio di Barbara Locci e Stefano Mele, che potrebbe aver subito un’influenza sui ricordi, riportò versioni differenti.
Inizialmente disse di aver raggiunto a piedi la casa del fattore, dove chiese aiuto, e successivamente raccontò di aver effettuato il percorso sulle spalle del padre stesso.
Nel 1970, Stefano Mele venne condannato a 14 anni di carcere per duplice omicidio, in cui gli fu riconosciuta l’attenuante dell’infermità mentale.
Quindici anni dopo, la Calibro 22 tornò a sparare: prende vita il “Mostro di Firenze”
Il 14 settembre 1974, vennero uccisi i ventenni Pasquale Gentilcore e la fidanzata Stefania Pettini. I giovani si trovavano in auto, a Borgo San Lorenzo. Inoltre, i due fidanzati vennero colpiti ripetutamente con un coltello. Lei venne seviziata, privata del pube e di un seno, il sinistro.
Siamo nell’Italia degli anni ’70, ancora non è concepita la figura del serial Killer.
Nel 1981 ci furono due omicidi. Il 6 giugno, a Scandicci, furono uccisi Giovanni Foggi, 30 anni, e la sua fidanzata Carmela De Nuccio, di 21 anni.
Anche loro si erano appartati con la propria auto ed anche lei venne mutilata come Stefania Pettini.
Il 22 ottobre, a Calenzano, con le stesse modalità vennero uccisi, il 26enne Stefano Baldi e la 24enne Susanna Cambi.
Il 19 giugno 1982, vennero uccisi, a Montespertoli in uno slargo della provinciale, Paolo Mainardi di 22 anni e Antonella Migliorini di 19 anni.
Il punto di svolta arrivò quando si scoprì che l’arma usata nel 1968 era la stessa utilizzata nei delitti successivi, creando così un legame tra i vari omicidi.
Con questo nuovo legame tra le mani, gli inquirenti chiamarono Mele per interrogarlo, e lui mosse nuovamente accuse contro Francesco Vinci. Questo portò all’arresto di Vinci nell’agosto del 1982. Tuttavia, la vicenda prese una piega inaspettata, un nuovo omicidio venne commesso e Vinci fu scarcerato.
Si tratta del sesto omicidio, quello commesso il 9 settembre 1983, a Giogoli, dove due turisti tedeschi furono uccisi. Si chiamavano Wilheln Meyer e Uwe Jens Rusch, che molto probabilmente fu scambiato per una donna a causa dei lunghi capelli biondi, ed avevano entrambi 24 anni.
Il loro omicidio, privo di mutilazioni, portò gli inquirenti a indagare su Giovanni Mele e Piero Muraccini. Rispettivamente il fratello ed il cognato di Stefano Mele. Mentre erano in carcere, però, un altro duplice omicidio scosse la provincia di Firenze.
È il 29 luglio 1984 quando, a Vicchio del Mugello, in una Fiat Panda di colore celeste, vennero rinvenuti i corpi di Pia Rontini, 18 anni, e di Claudio Stefanacci, 25 anni.
L’8 settembre del 1985, a Scopeti nella loro tenda da campeggio, vennero uccisi il 25enne Jean Michel Kraveichvili, e la 36enne Nadine Mauriot, entrambi di nazionalità francese.
Pochi giorni dopo il ritrovamento dei corpi, alla procura di Firenze fu recapitata una macabra busta anonima indirizzata al pubblico ministero, Silvia Della Monica. All’interno c’era un brandello del seno della vittima.
Nacque così l’appellativo il “Mostro di Firenze”, a cui furono attribuiti tutti gli otto omicidi.
Il modus operandi fu quasi sempre lo stesso. Le giovani coppie si trovavano in luoghi appartati e sono state uccise dalla stessa arma. A volte è stata utilizzata anche un’arma bianca e in alcune vittime l’assassino ha effettuato delle mutilazioni. Una cosa era certa, il Mostro conosceva molto bene le campagne fiorentine.
Dopo che fu abbandonata la “pista sarda”, nel 1991 venne organizzata la “squadra anti-mostro” la cosiddetta SAM. La squadra, che indagava in modo esclusivo sugli omicidi delle coppiette, arrestò un contadino di Mercatale Val di Pesa, Pietro Pacciani.
Durante una perquisizione, nell’orto di Pacciani, venne trovato un proiettile calibro 22, serie Winchester.  Già nel 1985, una lettera anonima aveva suggerito un suo possibile coinvolgimento. Condannato in passato per l’omicidio di un uomo e per aver violentato le figlie, nel 1994, Pietro Pacciani venne condannato in primo grado all’ergastolo, per poi essere assolto in appello. La Cassazione annullò la sentenza ed ordinò un nuovo processo. Pacciani morì nel 1998, prima dell’inizio del nuovo processo, in circostanze misteriose.
Dopo il clamore mediatico del processo a Pietro Pacciani, l’inchiesta sul Mostro di Firenze prese una nuova piega. Le indagini si allargarono, coinvolgendo non solo due suoi amici, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, ribattezzati dai cronisti i “compagni di merende”, ma anche figure di contorno. Alcuni parlavano, altri tacevano. Uno, Fernando Pucci, raccontò persino di aver assistito a due degli otto duplici omicidi.
Secondo i giudici, insieme a Pacciani, Vanni e Lotti erano coinvolti in alcuni dei delitti. Furono condannati in via definitiva per quattro degli otto duplici omicidi.
Nel 2002, Lotti morì all’età di 62 anni. Mentre Vanni morì, nel 2009, all’età di 81 anni.
Nel 2018, il caso del “Mostro” tornò sulla scrivania della procura.
Questa volta fu indagato Giampiero Vigilanti, un uomo anziano, con un passato da legionario. Conoscente dei “compagni di merende”, possedeva molte armi, tra cui un modello compatibile con quello usato per gli omicidi.
Nel 2020, l’indagine nei confronti di Vigilanti fu archiviata. Nel 2024, Vigilanti morì all’età di 93 anni.
A luglio di quest’anno, un test genetico ha rivelato che Natalino Mele, il bambino sopravvissuto al primo duplice omicidio, non è figlio di Stefano Mele. Il padre biologico è Giovanni Vinci, fratello di Francesco e Salvatore, mai indagato.
Non è certo se quest’ultima scoperta potrà portare a concreti sviluppi del caso.
Tra i punti oscuri da chiarire c’è sicuramente da capire se Natalino, la notte tra il 21 ed il 22 agosto 1968, sia stato risparmiato volontariamente o l’assassino non l’abbia realmente notato. In caso sia stato risparmiato, quale sarebbe stato il motivo? Solo perché era una creatura innocente o c’era un legame? Se per il primo omicidio fu condannato Stefano Mele, e per i successivi duplici omicidi si ebbe la certezza di una sua innocenza, tanto che non fu indagato, per quale motivo si associa il primo delitto ai restanti sette? Esiste concretamente un unico Mostro di Firenze, autore di tutti gli otto omicidi, oppure è stato un susseguirsi di emulatori? Gli interrogativi sono numerosi.
Il caso del Mostro di Firenze è uno di quei casi irrisolti che, probabilmente, non vedrà mai la luce della verità.

Signor Mele, da quando ha scoperto che suo padre è in realtà Giovanni Vinci, come ha affrontato la notizia?

«Mi ha sconvolto. Io credevo di chiamarmi Mele, sono rimasto shockato. Mi è stato fatto sapere tramite la procura. Hanno preso il mio dna, non so neanche come, e poi mi hanno fatto sapere l’esito».

Che ricordo ha di quella notte del ’68?

«Non ho alcun ricordo, nessuna immagine, nessun rumore, niente di niente, sennò l’avrei raccontato. Anche le facce implicate nella vicende le conosco tramite i giornali, personalmente non le ho mai conosciute».

Però dopo l’omicidio, la famiglia Mele e anche quella Vinci rifiutarono di tenerla in casa e lei venne portato in orfanotrofio, quindi un legame con lei c’era. Come può non ricordare quelle persone?

«Perché ero troppo piccolo, so solo che le vicende di quella notte ancora mi perseguitano, ora vorrei solo un po’ di tranquillità, ho sofferto tanto e porto ancora le ferite. Sono stato in collegio dai 6 ai 20 anni, poi sono partito per fare il militare a Capo Teulada, vorrei tornarci in Sardegna, è il mio sogno. Dopo i 20 anni ho vissuto un po’ allo sbando appoggiandomi dove capitava e ora vivo a Firenze, in una casa che ho occupato, le mie condizioni non sono delle migliori».

Lei ha incontrato Stefano Mele dopo che è uscito dal carcere per l’omicidio di sua madre e dell’amante, che persona era?

«Taciturno, parlava pochissimo, ci si abbracciava però. Gli volevo bene, perché ovviamente per me era mio padre, fino almeno a una settimana fa. Non ci frequentavamo ma comunque andavo a trovarlo i fine settimana quando stava in casa di riposo e mangiavamo insieme. Di quella notte però, non abbiamo mai parlato. Io non ho mai domandato».

Perché invece ha scelto di non andare a visitare la tomba di sua madre?

Non l’ho scelto, non so proprio dove sia, non me l’hanno mai detto. Anzi voglio fare un appello, ditemi dove è sepolta mia madre». Tra tutti i protagonisti della vicenda del mostro di Firenze nessuno l’ha mai contattata? «Assolutamente no. Mi lasci anche chiarire anche un’altra questione: molto cose che si trovano sul web io non le ho mai dette.

Per esempio sull’uomo che l’avrebbe accompagnata al casolare quella notte?

«Quella è una delle tante, ripeto che non mi ricordo nulla. Non ho mai conosciuto i Vinci, Pacciani e tutti gli altri».

One thought on “Il Mostro di Firenze. 21 agosto 1968, via Castelletti a Signa

Rispondi a https://fortune-glassi.Mystrikingly.com/ Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.